Emissioni di CO₂ e digitale: le dimensioni del problema

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L’impatto ambientale delle tecnologie digitali è reale, ma la consapevolezza delle persone sul tema è ancora poca. Capire l’entità del problema e individuare le possibili soluzioni per contrastarlo è una sfida per tutti.

Il comparto delle tecnologie digitali è responsabile del 3,7% di emissioni di CO₂ a livello globale. Il traffico aereo ne è responsabile “solo” per il 2%.

Da uno studio sulla sostenibilità ambientale condotto nel 2021, relativamente al percepito delle persone sull’impatto ambientale delle tecnologie digitali, è emerso che solo il 23% degli intervistati ne è consapevole.

Partiamo da qui, perché questi dati evidenziano due aspetti decisamente importanti.

 Il primo è che l’impatto ambientale del digitale non è per niente residuale, ma anzi è molto rilevante ed è proprio per questo che abbiamo deciso, come Società Benefit, di fare sensibilizzazione in merito.

Il secondo è che se dovessimo chiedere a uno qualsiasi dei nostri amici un parere in merito al confronto tra impatto ambientale del digitale e impatto ambientale del traffico aereo, questo – con molta probabilità – indicherebbe il traffico aereo come principale colpevole di un maggior danno ambientale.

Non c’è quindi una reale percezione diffusa delle dimensioni del problema e sappiamo molto bene che fino a quando non avremo sviluppato conoscenza in merito, non saremo in grado di immaginare nuove soluzioni da mettere in pratica.

Dematerializzazione, energia e impatto ambientale

Ma se digitalizzare equivale effettivamente a “dematerializzare” documenti, fotografie, esami diagnostici e diversi altri tipi di materiali, perché il digitale ha un impatto sull’ambiente? È presto spiegato.

Ogni strumento digitale ha bisogno di energia per funzionare e la sua produzione comporta emissioni di gas serra. Prendiamo, ad esempio, un sito internet.

Il server che ospita l’infrastruttura per essere alimentato e raffreddato necessita di energia.

Gli utenti che in ogni parte del mondo accedono al sito utilizzando il proprio device, necessitano di energia per caricarlo.

Il dispositivo che accede al sito e lo naviga comporta un flusso di dati tra il server e il device, e anche questo scambio richiede energia e non solo, più dati vengono trasferiti, più energia è necessaria.

Quindi il digitale ha un impatto ambientale nella misura in cui è energivoro.

Per provare a rendere l’idea delle dimensioni del problema è necessario fare due calcoli, tenendo in considerazione i seguenti dati:

–      un solo server può generare da 1 a 5 tonnellate di CO₂ equivalente in un anno e i data center rappresentano l’1% della domanda generale di energia.

 –      Si calcola che nel 2022 siano stati emessi nel mondo 36,8 miliardi di tonnellate di CO₂.

Se il digitale è responsabile del 3,7% delle emissioni globali, stiamo parlando di un totale di 1,36 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente.

Piantare alberi per compensare: è la soluzione?

A oggi sono tantissime le organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, che considerano la piantumazione di alberi il metodo più efficace per compensare le emissioni di CO₂. Le iniziative come “Trillion Trees”, che mirano a piantare miliardi di alberi entro il 2050 per assorbire CO₂ dall’atmosfera e contrastare il cambiamento climatico, sono veramente tantissime in tutto il mondo.

Certamente si tratta di una soluzione validissima ma, come sempre, è importante tenere in considerazione i dati per capire qual è la reale efficacia di questa misura.

È importante sapere, infatti, che calcolare la quantità di CO₂ immagazzinata da un “albero” è complicato, perché gli alberi sono tanti, diversi tra loro per caratteristiche, e molti di questi impiegano anni prima di riuscire ad avere una funzione di assorbimento di CO₂ significativa.

Facendo una media, possiamo ipotizzare che un albero di grandi dimensioni sia in grado di immagazzina circa 35 kg di CO all’anno, il che significa che per compensare le emissioni derivanti dal comparto digitale bisognerebbe piantare circa mille miliardi di alberi e aspettare che crescano.

Questo, però, significherebbe anche ricoprire di quasi 350 milioni di ettari di terreno la superficie terrestre, una quantità pari a 11,5 volte il territorio italiano. Senza considerare ciò che questa soluzione prevederebbe in termini di land grabbing, ovvero i terreni sottratti ad attività fondamentali per la vita dell’uomo sulla terra, come ad esempio l’agricoltura.

Il digitale: da problema…

Con questo discorso non è nostra intenzione demonizzare il digitale. Tutt’altro.

Per diversi anni a tutti noi è stato detto che la digitalizzazione era una chiave principale per la riduzione delle emissioni e per un uso più responsabile e sostenibile di risorse e di materie fondamentali come la carta.

E così è: digitalizzazione e decarbonizzazione vanno di pari passo.

Ci troviamo a vivere nella cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, un termine che indica l’epoca di digital transformation che ha permesso di ridurre la produzione, l’archiviazione e il trasporto di materiale cartaceo, lo spostamento di merci e di persone, i flussi di lavoro e altro ancora.

Secondo il GeSI (Global eSustainability Initiative), l’applicazione su scala globale delle tecnologie di informatica e telecomunicazione (ICT)potrebbe evitare fino al 20% delle emissioni annuali di gas serra entro il 2030 (effetto indiretto), mentre il settore dell’ICT causerà circa il 2% delle emissioni globali di gas inquinanti (effetto diretto).

Questa differenza tra effetto diretto ed effetto indiretto è la chiave su cui dobbiamo ragionare perché ci permette di capire che la digitalizzazione è un processo virtuoso, ma non è neutro.

… a soluzione

Con il digitale siamo  in grado di avere un effetto indiretto estremamente positivo, ma dobbiamo essere consapevoli del suo effetto diretto, gestirlo e ridurlo perché siamo arrivati ad un punto in cui è necessario “problematizzare” la soluzione, ossia rimetterla in discussione.

Primo perché il digitale è cresciuto e continua a crescere. Basti pensare che il 65% delle imprese ha aumentato gli investimenti destinati alla digitalizzazione, e che questo permette di prevedere una crescita esponenziale per il mercato globale della digitalizzazione. Esso passerà da 521 a 1.250 miliardi di dollari nel 2026, con un tasso di crescita annuo del +19%.

Il secondo motivo, però, è di opportunità perché oggi abbiamo le competenze necessarie per ottimizzare questo impatto e abbiamo quindi la responsabilità di alzare l’asticella.

Dobbiamo capire come ragionare in termini di eco design, certamente. Dobbiamo capire come aumentare progressivamente la produzione di energia rinnovabile in modo da alimentare i nostri server e i nostri device di energia che non provenga da fonti fossili.

Ma dobbiamo anche fare in modo che il digitale consumi meno, dobbiamo ridurre l’impatto di uno strumento che ci ha già permesso di ottenere molto, ma che ad oggi ha un peso importante.

From local to global

Come per tutte le dimensioni che compongono il tema della sostenibilità, c’è una commistione di livelli, globali e individuali.

Pensando alla sfera individuale: il semplice invio di un’email può comportare la produzione di anidride carbonica da 4 grammi di CO₂ (fino a 50 grammi se gli allegati sono di grandi dimensioni).

È ovvio che l’invio di un’email ha un impatto inferiore rispetto alle alternative analogiche, come spedire una lettera o consegnare a mano un documento. Ma ad oggi, si stima che un utente medio che utilizza la posta elettronica per lavoro, in un anno contribuisca alle emissioni di 135 kg di CO equivalente, pari a 890 km percorsi da un’auto a benzina che va da Parma a Taranto.

Ma cosa fare ora che la nostra vita è improntata su attività e flussi di lavoro digitali? Piccole cose, ma importanti. In un suo studio del 2021, la BBC ha calcolato che se ogni adulto nel Regno Unito inviasse un’email di ringraziamento in meno, si potrebbero risparmiare 16.433 tonnellate di carbonio all’anno – l’equivalente di togliere 3.334 auto diesel dalla strada, secondo la compagnia energetica OVO.

Per non parlare dello spam, che oltre a essere fastidioso, è anche molto inquinante: secondo le stime del servizio antispam Cleanfox, un utente medio riceve 2.850 e-mail indesiderate ogni anno, responsabili di 28,5 kg di CO₂e.

Tutto questo, si traduce in due parole soltanto: conoscenza e responsabilità.

Conoscenza perché, come detto in apertura, molte persone non sono consapevoli dell’impatto delle loro azioni quotidiane anche online, pensando che aver spostato sulla dimensione digitale le proprie azioni, abbia risolto il problema.

Responsabilità perché, se lo sappiamo, dobbiamo agire di conseguenza, ognuno con le proprie competenze.

Obiettivi e orizzonti per un digitale più sostenibile

Questo è il motivo per cui in Gag è nato il progetto Good Ranking che applica la nostra filosofia di “Tecnologia Fatta per Bene” sintetizzata nel nostro manifesto.

Perché siamo proprio noi che sviluppiamo soluzioni digitali da oltre vent’anni ad avere meglio di altri la capacità di ripensare lo strumento digitale, proprio in ottica di eco design. E non solo. La nostra filosofia ci porta a mettere in campo ogni azione utile a ridurre le emissioni e ad avere un impatto migliore sull’ambiente, per questo abbiamo anche avviato una collaborazione con Treebu. Una Società Benefit che investe in progetti di piantumazione di Paulownia, una specie di albero che cresce velocemente, assorbe una quantità di CO₂ fino a 10 volte in più rispetto ad ogni altra pianta e produce legname di qualità in abbondanza perché, una volta tagliata, non muore ma si rigenera crescendo più veloce di prima.

Ma la vera strada da indagare è quella volta a costruire un sito ragionando su come scrivere un codice essenziale, che “pesi” meno in termini di emissioni, migliorare la compressione dei file multimediali, rendere i percorsi di navigazione più fluidi.

Costruire strumenti digitali più leggeri, inoltre, sul piano della quantità di kb trasferiti, di energia richiesta e quindi di CO₂e emessa, significa costruire uno strumento che si carica più velocemente e che quindi è più efficiente (banalmente perché meglio posizionato sui motori di ricerca) e più accessibile, perché più usabile anche da utenti con device non di ultima generazione.

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